Cari italiani,
siamo dei pirla
di Ferruccio
Sansa | 9 dicembre 2014
“Cari
italiani la colpa è anche nostra”. Immaginate un politico che esordisse così.
Immaginate un Presidente della Repubblica che ce lo dicesse in faccia nel
discorso di Capodanno, mentre guardiamo distratti intrippandoci con lo zampone.
E poi:
“Basta dare la colpa all’arbitro, agli avversari fallosi e al pallone sgonfio come fanno le squadre piagnucolose. Basta prendersela con l’euro, la Germania, gli immigrati, le mezze stagioni che non ci sono più. Abitiamo forse nel Paese più bello del mondo. Abbiamo un qualità della vita ancora ineguagliabile, che non nasce solo dalla bellezza, dal clima, dal cibo frutto della nostra terra, ma anche da noi; da quella cordialità, quel calore, che rivelano un senso della vita profondo. E invece ecco come ci siamo ridotti.Pensiamo allaSicilia dove lo Stato e la Regione sono diventati solo vacche da mungere e non ci si accorge che derubiamo noi stessi. Che ci mettiamo un soldo in una tasca e ne perdiamo uno dall’altra. Prendiamo sussidi perfino per le vendemmie che non facciamo e così le scuole vanno a pezzi. Pensiamo a Roma, che a camminare tra i palazzi è una gioia per gli occhi, che fa una pippa alle capitali del resto del mondo. E dove invece si vive così faticosamente, intrappolati nel traffico, dove ci sono voluti più di vent’anni per fare mezza metropolitana quando a Londra ne facevano 400 chilometri.
Pensiamo al Veneto, alla sua campagna dove Tiziano e Tintoretto venivano per cercare i colori, e dove in pochi anni abbiamo costruito una muraglia cinese di capannoni rimasti vuoti che messi in fila sarebbero lunghi 1.800 chilometri. Pensiamo alla Liguria dove un mese fa c’è stata l’alluvione e oggi gli unici cantieri che lavorano sono quelli per aggiungere nuovo cemento. Altri centri commerciali a due passi dai fiumi, altri condomini in una regione che ha il record di case vuote.
Pensiamo alla Lombardia che aveva la sanità migliore del mondo e oggi l’ha offerta ai privati e lottizzata
“Basta dare la colpa all’arbitro, agli avversari fallosi e al pallone sgonfio come fanno le squadre piagnucolose. Basta prendersela con l’euro, la Germania, gli immigrati, le mezze stagioni che non ci sono più. Abitiamo forse nel Paese più bello del mondo. Abbiamo un qualità della vita ancora ineguagliabile, che non nasce solo dalla bellezza, dal clima, dal cibo frutto della nostra terra, ma anche da noi; da quella cordialità, quel calore, che rivelano un senso della vita profondo. E invece ecco come ci siamo ridotti.Pensiamo allaSicilia dove lo Stato e la Regione sono diventati solo vacche da mungere e non ci si accorge che derubiamo noi stessi. Che ci mettiamo un soldo in una tasca e ne perdiamo uno dall’altra. Prendiamo sussidi perfino per le vendemmie che non facciamo e così le scuole vanno a pezzi. Pensiamo a Roma, che a camminare tra i palazzi è una gioia per gli occhi, che fa una pippa alle capitali del resto del mondo. E dove invece si vive così faticosamente, intrappolati nel traffico, dove ci sono voluti più di vent’anni per fare mezza metropolitana quando a Londra ne facevano 400 chilometri.
Pensiamo al Veneto, alla sua campagna dove Tiziano e Tintoretto venivano per cercare i colori, e dove in pochi anni abbiamo costruito una muraglia cinese di capannoni rimasti vuoti che messi in fila sarebbero lunghi 1.800 chilometri. Pensiamo alla Liguria dove un mese fa c’è stata l’alluvione e oggi gli unici cantieri che lavorano sono quelli per aggiungere nuovo cemento. Altri centri commerciali a due passi dai fiumi, altri condomini in una regione che ha il record di case vuote.
Pensiamo alla Lombardia che aveva la sanità migliore del mondo e oggi l’ha offerta ai privati e lottizzata
. Pensiamo a Milano che sapeva unire
spirito di impresa e solidarietà, borghesia e socialismo (non quello di Craxi,
però) e che oggi si lascia passivamente infiltrare dalla ‘ndrangheta e punta il
dito contro gli immigrati.Lo so, mi date del disfattista, pensate che vi abbia
fatto l’elenco dei disastri. È il contrario, invece: queste sono tutte
occasioni. Per realizzarle non serve il Tav, non abbiamo bisogno dei soldi
dell’Europa, di cacciare gli immigrati. Basterebbe cambiare la nostra testa,
smettere di corrompere, evadere, rubare a noi stessi”. Chissà come la
prenderemmo se un politico non ci dicesse più che siamo solo un popolo di
santi, poeti e navigatori: “Cari italiani siamo stati dei pirla” (per usare il
dialetto di Salvini, ma vanno bene anche mona, ciula, beline, minchioni), “ma
possiamo cambiare. Questa sarà la nostra rivoluzione”.
Il Fatto Quotidiano, 8 dicembre 2014
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