Matteo Renzi, rottamare il
popolo? Missione compiuta
di Pierfranco Pellizzetti | 24 novembre
2014
“Missione compiuta”, gigioneggia Matteo
Renzi a fronte delle regionali emiliano-romagnole e calabresi.
Certo che sì. Ma non tanto per la presumibile conquista della poltrona di
governatore da parte dei due candidati sponsorizzati, personaggi tutto sommato
insignificanti; latori di proposte politiche inesistenti. Niente di tutto
questo. La vera missione giunta a compimento è l’aver rottamato, in
un colpo solo, circa il dieci per cento del corpo sociale italiano;
le donne e gli uomini che – in quanto cittadini – intendono concorrere a
determinare la volontà generale. E l’effetto “piazza pulita” fa maggiormente
impressione se il soggetto collettivo, in più fragoroso allontanamento da una
concezione attiva della politica, è proprio l’antica “maglia rosa” nazionale
del civismo:l’Emilia Romagna appassionata
e socialdemocratica.
Il nostro premier può farsi scrivere dal ghost-writer
di fiducia tutti i temini che vuole sulla sua presunta natura di sinistra, può
precettare la Gioconda Boschi allo sbandieramento
dell’essenza newdealistica ed egualitaria del Jobs Act (ma perché
questi anglicismi, visto che il Renzi si incarta quando bazzica l’anglofonia?
Lo chiamiAsfaltalavoro così ci capiamo meglio). Renzi può
raccontarcela come vuole, anche se la gag mostra ormai la corda.
Resta il fatto che l’obiettivo della Destra apparsa in
Occidente da quattro decenni, diventando dominante da un quarto di secolo, ha
come primario obiettivo quello di azzerare il popolo. Obiettivo che il
giovanile di Rignanoporta avanti con proterva determinazione sotto
gli sguardi compiaciuti dei suoi mentori e precettori (Berlusconi e Verdini tra
i più cari), di quanti avevano vendette da consumare a sinistra (tipo Sacconi)
e con la benevola approvazione dei liquidatori internazionali della tradizione
progressista novecentesca keynesiano-rooseveltiana (dai vari Blairai
tecno-killer di Bruxelles, al servizio del sistema bancario
internazionale).
Il senso generale dell’operazione discende da due
inestirpabili retropensieri del nostro tempo: la logica finanziaria, in
cui la ricchezza per riprodursi non ha più bisogno delle persone (la produzione
di denaro a mezzo denaro; a differenza dell’età industrialista, in cui il
capitale produceva masse che ne acquistassero i prodotti); la priorità
del potere oligarchico che recalcitra ad ogni forma di controllo, in
particolare quello democratico. Sicché fa specie (ma non troppo) che gli Orfini –
già “giovani turchi, poi rivelatisi “vecchi ottomani” (nel senso di afferrare
poltrone) – imbarcati felicemente sul carro renziano non emettano neppure un
sospiro davanti alla mattanza in atto. Così, tanto per salvarsi l’anima.
Il fatto è che la vicenda regionale si inserisce in un
lungo processo di normalizzazione in corso non da oggi. Che nel nostro Paese si
accompagna alla sostituzione di seppur imperfette forme didemocrazia
deliberativa con il grande baraccone dello star-system; iniziato con
il guitto di Arcore e proseguito da una lunga serie di
imitatori, che avevano recepito dal maestro le virtù dell’illusionismo per la
conquista del consenso. Quella sequenza di personaggi che pare giunta alla sua
più compiuta espressione nel premier che gioisce davanti all’esodo dal voto di sei italiani su dieci; sostanzialmente
perché l’intera offerta esposta sui banconi elettorali appariva loro
inaccettabile.
Certo, così facendo si consente alla banda che
presidia il varco della politica di vincere per no-contest, per abbandono della
controparte civica. E di questo dovrebbe farsi carico in termini autocritici
chi ha dissipato le speranze riposte nel febbraio 2013 nell’Altra Politica da
parte di un quarto di italiani. Intanto continua l’opera di abrogazione del
popolo. Un vecchio sogno delle plutocrazie, se già all’inizio dell’età
industriale l’abate Sismondi poteva scrivere: “In verità non
resta che desiderare altro se non che il re, rimasto solo nell’isola, girando
una manovella, faccia eseguire per mezzo di congegni meccanici tutto il lavoro
dell’Inghilterra”.
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